PROFILO DELL'AUTRICE
MARIA LETIZIA FILOMENO, nata a Gallarate il 12-09-1971 - È autrice di
poesie, racconti, romanzi. Ha pubblicato due raccolte personali di poesie con le
Edizioni «Il Grappolo». Con l’A.L.I. Penna d’Autore di Torino ha pubblicato la
silloge di poesie «Presunte illusioni», i romanzi brevi «La ragazza di Porta
Garibaldi» e «Gli sms che ti ho mandato... a cui tu non hai quasi mai risposto».
Altre sue opere, sia in poesia che in prosa, sono presenti in antologie. Ha
conseguito riconoscimenti in vari concorsi e collabora a riviste letterarie.
BELLARIA
Bellaria, giugno.
Sto ancora cercando di capire se tutto questo è reale, oppure se è solamente uno
dei tanti sogni che ho fatto, nel corso di questi anni. Un sogno reso concreto
da un desiderio nostalgico, ancora permeato di struggente sofferenza.
Il pensiero del mare, per me, è il ricordo di un dolore.
Per anni ho cercato di fuggirlo, di allontanarmene il più possibile per non
riaprire la ferita che ha messo la parola fine alla mia infanzia.
Ora sono tornata. Il mio esilio volontario non poteva durare più a lungo. Prima
o poi avrei dovuto fare i conti con la realtà, e cercare di ricucire quella
frattura.
Il tempo cambia molte cose, ma i moti dell’anima sono imprevedibili. Sensazioni
ed emozioni che sembrano assopite, attenuate, possono invece rivelarsi degli
uragani. Non è tanto il tempo trascorso a cambiare le cose, quanto le cose
stesse che abbiamo vissuto, le nostre esperienze, gli altri dolori che si
sommano a quelli passati e che creano una corteccia più resistente.
Ora sono qui, di fronte al mare. Il mio mare.
È tutto così strano. Non mi aspettavo di provare una sensazione più simile alla
nostalgia che al dolore. Non mi aspettavo di scoprire che, in fondo, ho tanto
desiderato questo momento, quasi quanto l’ho temuto.
Il cielo è di un azzurro straordinario. Il cielo che si vede nelle cartoline
illustrate, che sembra quasi dipinto.
Il mare è incredibilmente blu. È un mare arrabbiato, inquieto, tumultuoso, che
si getta sulla riva con tutta la sua forza. Lo sento nel naso, trasformato in
goccioline salate, che aspiro con voluttà, con desiderio. Lo sento nelle
orecchie, il suo fragore che annulla qualsiasi altro suono. Lo sento sulla
pelle, insieme al sole che mi colpisce senza pietà. Ma, soprattutto, lo sento
nel cuore. Sento il suo respiro.
Cammino a testa bassa, lasciando sul bagnasciuga le mie impronte, che si
ritirano lentamente, o che vengono cancellate da un’onda schiumosa, che allarga
le sue braccia.
Quante volte l’ho sognato, questo mare.
Mi guardo intorno, con gli occhi socchiusi per il sole e per la sabbia sollevata
dal vento. La spiaggia è ancora abbastanza libera, ma presto fiorirà di
ombrelloni e sedie a sdraio.
Bellaria. Giugno. Come allora. Sembra quasi che il mare voglia suscitare in me
il ricordo, e attenuarlo, per farsi perdonare.
Avevo undici anni, Mirella ventidue. Era la mia cugina preferita, la mia
migliore amica.
I nostri genitori gestivano un albergo e uno stabilimento balneare. Durante
l’estate, Mirella faceva la bagnina. Viveva qui, mentre io, in inverno, tornavo
a Parma.
Passavamo le vacanze insieme. Tre mesi di mare, di giochi con la sabbia, di
bagni fino a farsi diventare le labbra blu dal freddo, finché mia madre si
sbracciava dalla riva, gridando il mio nome e, se proprio non ne volevo sapere
di uscire dall’acqua, entrava lei a ripescarmi.
Il profumo del mare è il profumo della mia infanzia e la mia infanzia è il
ricordo di lei. Mirella mi coccolava come se fossi la sua bambina, mi portava
alle giostre, di sera, e mi comprava i gelati, al chiosco della spiaggia.
Trovava sempre il tempo di stare con me, nonostante il lavoro.
Io l’adoravo, e adoravo l’estate perché la passavo con lei.
Poi, si ammalò. All’inizio dell’inverno di dieci anni fa.
Ero ancora una bambina e certe cose non riuscivo a capirle. Captavo mezze frasi
di conversazioni tra i miei genitori e telefonate sommesse agli zii. Sentivo
parlare di ospedali, di esami, ma la mia mente ingenua ancora non riusciva a
dare un senso compiuto a tutto ciò, e nessuno ebbe il coraggio di spiegarmelo.
A volte scoprivo mia madre che mi guardava con una strana espressione, un misto
di dolcezza e compassione, per un futuro che io non potevo immaginare, ma che
lei, invece, sapeva benissimo.
Quando rividi Mirella, all’inizio dell’estate, non mi sembrò diversa dal solito.
Solo un po’ più magra, più pallida, nonostante trascorresse molto tempo all’aria
aperta. Mi disse che non stava molto bene, ma che si sarebbe ripresa presto. Non
so se veramente fosse convinta di guarire oppure se volesse solo fingere che ciò
sarebbe stato possibile. Il suo sorriso e la sua allegria, nonostante tutto,
riuscirono a cancellare i miei dubbi e le mie paure.
Bellaria era ancora la stessa città, fremente di attesa e di vitalità. Mi apriva
le braccia ad un’altra estate a cui andavo incontro col cuore colmo di
aspettative. Respiravo il profumo stuzzicante di abbronzante al cocco, che mi
accoglieva al mio arrivo in città e che per anni, poi, ho detestato, perché
risvegliava in me ricordi dolorosi.
Ero felice. Felice di vivere in una città di mare. Felice di vivere con Mirella.
Nella mia immaginazione le due cose si fondevano, erano un tutt’uno, una
simbiosi irreversibile.
Per questo, dopo, è stato tutto ancora più difficile. Mirella è sparita dalla
mia vita al culmine di quell’estate. È andata in ospedale. Il suo calvario è
durato poco. Ha deposto le armi quando ormai non aveva più speranze e in poche
settimane la sua vita se n’è andata.
Io, che ero troppo piccola per capire, sono stata l’ultima a saperlo, dopo
essere stata intontita da una serie di pietose bugie. Ma ero abbastanza grande
per soffrire.
Ricordo come fosse ieri un mattino di vento, un susseguirsi di cavalloni di
schiuma bianca, il mare di un blu che non avevo mai visto, il cielo azzurro come
nelle cartoline. Come adesso.
Mirella mi aveva portata a vedere il mare in burrasca. Sorrideva. Il vento le
scompigliava i capelli e lei si copriva gli occhi per difenderli dal sole e
dalla sabbia. Io facevo fatica a respirare, tanto l’aria era forte.