PROFILI ARTISTICI
SILVIA FAVARETTO, poetessa e narratrice, ha ottenuto vari
premi letterari a fine anni novanta (Avis La Torre, Inves, Valle Senio) e ha
partecipato ad alcuni festival di poesia internazionali come il festival di
Poesia di Medellín (Colombia) e quelli di Guatemala, El Salvador e Ar-gentina.
Ha pubblicato il libro di poesie bilingue La carne del tiempo (Artificios,
Bogotá, 2002) e la favola La Farfalla Rossella (Pordenone, 2003). Ha inoltre
curato il volume Narrative femminili cubane tra mito e realtà (Venezia, 2003).
Lavora come insegnante e traduttrice. |
Adamo Male, male venga ogni male da questa scissione squarcio, squarcio invisibile anelato lì, nel mio costato stracciato. Non più casa ospitale è il mondo, non più tedio nell’eterno cibarsi dei giorni, supplizio al supplizio: non più carne nel mio corpo, respiro nel tuo fiato, dolore nel tuo essere. Eravamo unione. Un corpo solo. Un’unica paura. Eva Dalla separazione nacque ogni male. Anelo quell’invisibile squarcio nel tuo costato. Perché il mondo non è casa più ospitale né il tedioso trascorrere dei giorni supplisce al supplizio di non essere più carne del tuo corpo, respiro nel tuo fiato, dolore nelle contrazioni del tuo essere. Amore è unione. Un corpo solo. Un’unica paura. Cristo Saremo milioni, malinconico il labbro languido della vergine ci guarderà in fila, colpevoli e innocenti. Sottinteso nel crepuscolo resto nascosto, aspetto gocce d’oro e rugiada fresca, respiri di una stagione passata, sussurri tra nubi limpide acque calme, germogli eterni. Fumo dalla bocca mentre dico: “l’inverno è di chi lo aspetta” e mi scendono stalattiti sulle guance e gli occhi, come due soli di cristallo, non trovano più l’immagine riflessa, le impronte di mani stanche sono giorni piovosi, in un marzo senza fine. La solitudine è così scura che non mi riconosco più tra le ferite delle mani che hanno scavato la terra e comincio a dimenticare il mio nome. Io, cristo fuggiasco, puntino chiaro in uno sfondo nero. Una barca al largo nella notte. Maria Nebbie basse su questi colli al mattino vapori umidi, brina soffice. Le croci sono vuote adesso trasudano mille stille e gemme invecchiate dello stantio sangue di polsi tormentati e caviglie. Lì immobile il legno chiazzato aspetta un nuovo figlio a cui dare martirio. E mi tremano le mani vedendo questo cielo terso, questa divina pace come se nulla fosse mai stato, come se oggi fosse già passata la tempesta. Ti guardo mio salvatore prediletto e non ti riconosco come erede divino ma mio e della mia specie, io che non fui mai nulla mi ritrovo ad un tratto orfana, vedova e ancora irrimediabilmente sola.