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Il quotidiano, come vento d’alta quota,
freddo, furibondo, ti sfilaccia l’anima
come fazzoletti preghiera tibetane, e
l’onestà, la fedeltà, le intenzioni:
filamenti di seta, cotone o lana caprina,
s’impigliano sugli spini dei rovi
che il vento attraversa indenne.
Frammenti di esistenza che
garriscono per qualche tempo
poi si perdono. A volte li recuperi
per esperienze nuove, brevi,
riconoscibili, mai più vergini.
Diuturnamente, vivi a inseguire
gli scampoli, riagguantarli da laggiù,
ricomporli prima dell’ultimora, per
presentarLa dignitosa se non intonsa.
Gratificazione è la meta o la speranza
di salvezza. L’una, ambìto paradiso
coranico, di eburnee urì e latte e miele,
bisogni sognati, soddisfatti mai.
L’altra, assoluzione perpetua della vita.
Alleviano il pulsare incessante delle tempie.
Per un tempo lungo una malattia
quando non ho più sentito il calore
della mano che teneva la mia
ho temuto d’esser solo
così d’improvviso.
Ho cercato il tuo sguardo
anche se mai rassicurante, tenero
incoraggiante, alfine però presente
ma era spento.
Gli occhi fissi, polverosi, rivolti
verso la linea dell’orizzonte
appena segnata di bruma
rifiutavano dire alcunché
erano puntati altrove, ben oltre.
Non ho più tempo per ripartire
il via è laggiù lontano, una vita intera.
Il traguardo, allestito sulla parte più alta
di questa, ho difficoltà a raggiungerlo
come vorrei.
Tu amico/nemico che da sempre
mi assilli, pungolo critico, ansiogeno
ma espiatorio, mi lasceresti davvero
prima della fine del viaggio? è forse
segno che il resto posso farlo senza te?
che sono adulto, ormai?
Guardo, la volta non è stellata,
soltanto alcune più luminose e
m’immalinconisce questo difetto.
Amo il cielo come luogo dalle mille luci,
per mille e mille domande spedire,
risposte non avere e altre più cogenti
elaborarne. Salgo in luogo alto a
superare le torbide foschie
che inibiscono la trasparenza;
qui staziona un miasma gravido
di polveri pesanti, inetto a sparire.
Quassù, prima che la sfera celeste
mi prenda, appare surreale espandersi
un firmamento di luci artificiali,
a perdita d’occhio, planetario.
Fioche o brillanti, fisse e in movimento,
gire e rivenire in fiumi rosso, arancione,
bianchi, con code fluorescenti ondivaganti,
d’ottica illusione. Manda verso il cielo
un’aura luminosa quasi d’alba,
che offusca la luce delle stelle,
la predomina. Le nere alture disegnano
il profilo inquietante di animali acquattati
a definire l’orizzonte; le torri abitate alte
punteggiate di luci, simili a piedistalli
infissi nello spazio, sembrano sostenere
il braciere luminoso che irradia l’etra.
- VETRINA LETTERARIA -
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