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Eppure nella mente
mi trastulla
lo splendore di erbe selvatiche
e foglie sgualcite
tutto un bosco,
che non risponde se gli parlo
svanito il canto degli uccelli
il sonno e la notte
chiudono impertinenti
la fiabesca porta della natura.
Il giorno verrà di nuovo
dai ciottoli di campo
dov’era una profonda incisione
orma di secoli e di passi,
luce che si espande
rischiara e vanifica
la continuità del ritorno.
Appena un persuasivo colore
vedrò svanire sulle foglie d’erba.
Nella brughiera desolata
un cespo di viole
e tutta la brughiera
soavemente olezza.
L’aria com’è trasparente oggi,
ed i monti sono così vicini!
Se io tendo le mani
forse raggiungo le cime dei pini...
ma il mio cuore rimane inerte
eppure la gioia è forse a quattro passi
lungo il muro che porta alla pietraia,
laggiù sul lago scie di rame
appaiono certezza,
la luna lancerà la sua luce più bella
su quella riva eccezionale.
Timoroso ed incerto già comincia l’usignolo il canto,
quanto è bella la terra in quest’ora solitaria.
Mattina tersa di alti spazi
s’indugia ancora un poco
sul sentiero che si snoda
a curve a tratti di pietra,
il cielo si è fatto compatto
il sole picchia alto,
sul collo un brivido di sudore,
ma la spinta verso la sommità
è pressante; è presente
come l’aria che sfida stridula.
Io resto sempre sola sul sentiero:
non sono fra i primi,
non sono fra gli ultimi,
ho un passo che mi porta a metà,
forse per meditare su quest’ora così completa.
- VETRINA LETTERARIA -
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