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Il vento di riviera
è una gaia risata,
un saluto di mare.
Caracollando su e giù per le valli,
scarruffa con le dita di salino,
alberi ancora spogli,
prossimi ad ingemmare,
quasi invito a spigrire.
Svelto si arrampica lungo i costoni,
supera in corsa i valichi
e in questo girotondo,
fra le grida festose dei gabbiani,
ritrova il litorale,
dove, nelle pupille di Nettuno
desidera ammarare.
Ma intravede nell’abbraccio del sole
una nuvola bianca,
grande come un veliero,
in cerca d’ una spinta,
fiaccata dal calore
e generoso il vento
si rimette a soffiare.
Celesti orbite,
crogiuoli di mistero,
non segni astrali esclusi al desiderio,
ma intrecci di riflessi,
al cui etereo sguardo i cuori sognano
quel mare di pupille,
lontano, irraggiungibile, sereno.
Nel buio della notte,
una scala infinita,
che vorremmo salire,
ci divide dal loro scintillio.
In quegli occhi ridenti, luminosi,
ti pare di vedere palpitare
il sorriso di chi ora sta lassù.
Ma l’orbita stellare
ha suoni in sintonia con la tua anima;
ne decifra la lunghezza dell’onda
e t’invoglia a pregare.
Brulla, d’un venerdì la sera
greve silente solitaria oscura,
recò sulle sue braccia una Chimera,
che spandeva splendore.
Dell’alba si nutrì,
desiderò e non ebbe primavera;
così intristì e languì.
La Chimera che non gioì di sole
amava i girasoli;
parlava con le nuvole raminghe,
spuntate fra le dita della luna.
Sognò laghetti limpidi, incantati;
cercò, evocò le brezze,
si sorresse sull’ali della luce,
senza goderne mai.
In una sera muta, senza vento
nell’ombra, sotto un cielo senza stelle,
al chiaro d’un fanale,
- nell’aria il solo lamento del gufo -
Chimera se n’andò.
Sbocciata dall’amore,
si spense nelle lacrime.
Ma una notte, sulla soglia del sonno,
durante un temporale,
avvolta nella pioggia,
tra tuoni che squarciavano la quiete,
ne vidi l’ombra ferma dietro i vetri.
Sembrava si volesse confidare.
Sorrise malinconica,
mentre un lampo saettante nelle tenebre,
veloce la rapì.
- VETRINA LETTERARIA -
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