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E venne il giorno.
Io restai muto alla porta
e non vidi
l’ombra lunga
che divideva la luce.
Non osai parlare
quando, d’un tratto,
la porta, stridendo, si chiuse.
Così seppi che niente,
più niente restava di ieri
oltre il muro delle parole.
Mi veniva soltanto, di lontano,
l’antica eco d’un pianto
bambino sul seno
d’una madre morta.
Così m’illusi di dimenticare.
Allora,
soltanto allora cercai
di guardare
e guardarti sorridere.
Soltanto allora capii
che se l’inverno è lungo
e doloroso e piange pioggia
dagli occhi delle nuvole,
i fiori e le foglie
e le rondini
e il sole
tu li hai portati negli occhi
per donarmeli ancora.
Io
t’ho vista così.
Invecchiare dolcemente
col sorriso in fondo al cuore
mani strette strette assieme
con un palpito di più.
Hai la neve nei capelli
ma negli occhi fondi e neri
leggo tutti i tuoi pensieri
come sempre hai fatto tu.
Se le rughe han disegnato
un reticolo d’amore
sul tuo volto splende ancora
la divina gioventù.
E ritorna nella sera
la tua voce che sussurra
le parole d’ogni giorno
come allora... Quando fu?
Le ricordo... E spero solo
di sentire nei capelli
le tue mani mentre dormo
per non risvegliarmi più.
O muro alto
coperto di cocci taglienti,
o chiuso cancello
che ruggine rode,
o ponte crollato
già verde di muschio,
ostacoli fragili sono
se, solo volendo,
uno sguardo ci unisce.
E crescano fiori o sterpi
tra i sassi,
precipiti allegro a valle
o s’asciughi il torrente,
percuotano i tetti gli scrosci di pioggia
o ridano al sole i comignoli spenti
io dormirò
su zattera presa nel gorgo
tra rovi che ardono folli,
su neve di monte
e uscirò indenne
al sorriso che placa
il mondo
che stringo
nelle braccia.
- VETRINA LETTERARIA -
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