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Ritmica leviga l’onda la pietra,
come con l’aria fa il battito d’ala.
Urge dissotterrare le radici,
il loro antico gene sa fornire
il linguaggio capace d’orientare
i nostri passi incerti.
Troppi affanni rinserrano la gola.
Da noi stessi prendiamo le distanze,
per ritrovarci altri dall’angoscia,
altri da ciò che ci rincorre e sfugge
come la nostra ombra.
Chi siamo se non ciò che non sappiamo?
Un battito di sangue nelle tempie
ci fa sentire parte del mistero,
abbarbicati al corpo della vita,
che balza come rapida impetuosa
e sguscia fra le dita.
Non credevo febbraio primavera,
eppure mesi ed ore han primavera
se l’anima non muore.
Una luce di polline di sole
guizza nell’acqua fresca
d’un vaso di mimose.
Pare attenda parole
che non le dona il cielo
fermo sulla finestra.
Le ritrova sui ramuli fioriti,
reclini in un’onda di attese,
con fruscìo che scombina
l’attonito mio cuore.
Dal labbro della brocca
nascono le parole
e cadono con risa d’acqua fresca,
come tremule foglie,
ma non so dir se il loro riso sia
di gioia o di stupore.
Che cosa mi può dare la poesia?
Scoprirsi un gavitello in mezzo al mare
divelto, alla deriva
ostaggio delle onde.
Un gavitello che nasconde un cuore,
che sogna di viaggiare,
dalla rosa dei venti scarrocciato,
venuto da lontano.
Straniero in patria, ad ogni nuovo approdo,
sostare, respirare e ripartire
alla ricerca della fanciullezza
da riscrivere ancora.
E bere a tante fonti con le mani
senza mai dissetarsi
e tenere per bussola
la luce d’una stella,
alla ricerca dell’Itaca mia
assediata dai flutti e dagli eventi,
celata da foschia
e, dove bimbo, scopersi l’aurora.
- VETRINA LETTERARIA -
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