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Con qualche goccia
di colore
ho giocato a dipingere
l’altopiano
ma verde smeraldo
e ocra
hanno creato
boschi senza riflessi e
monti senza incanto.
Con blu cobalto
e oltremare
ho cercato di far mie
le trasparenze
del lago
ma ho tramutato
queste limpide acque
in pozzi opachi.
E ho riconosciuto
la mia pochezza.
Scintille
dalle braci del nero focolare.
E per l’aria il profumo
della zuppa contadina.
Misera ma pulita, la cucina:
si rischiarava
di grida di bimbi, di sorrisi.
Attorno al tavolo di legno
con incisioni e inchiostro secco
di pennino, il cadenzato
rimestar nel pentolone, metteva
presto fine a ogni tenzone.
Attendevamo quieti
tenendo il piatto con le mani
che mamma ci chiamasse
ad uno ad uno.
E pur nel volto stanco
ridevano i suoi occhi:
«Mangiate lentamente ogni verdura
gustatene il profumo e ringraziate
Iddio che il cibo vi procura».
Sì, la fame vera, che ruba
ogni speranza, ogni sorriso
ancora non ci aveva catturato.
Mamma pensava: «Fortunatamente,
un altro giorno è già passato».
Quanto era azzurro e misterioso
il mio cielo di bambina
e quanto buffi i cirri dispettosi
che, all’improvviso
mutavano di aspetto
e divenivano, come per magia
cavalli alati o fate di cristallo.
Quanto era lucente e trapunta
di stelle, la mia notte di bambina;
quanto rassicuranti
le dolci ninnananne che, la sera
cullavano i miei sogni.
E quanto tenero l’abbraccio
della mamma: all’istante
fugava ogni paura.
Talvolta, quando il cielo
appare grigio e la notte
ha perduto il suo splendore,
nell’affiorare, dolce
dei ricordi
ancora mi pervade
quella gioia, quel tepore.
© Copyright by: 2002
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